Il libro è una storia dell’umanità, dal punto di vista biologico, culturale ed economico. Harari si concentra sull’evoluzione dell’Homo sapiens e su come questo sia diventato la specie dominante del pianeta. È suddiviso in quattro grandi parti.
L’Homo sapiens conviveva con altre specie umane (Neanderthal, Homo erectus…).
La differenza decisiva fu la capacità di creare e condividere “finzioni”: miti, religioni, leggi, valori, denaro.
Queste narrazioni collettive permisero la cooperazione su larga scala, molto oltre i piccoli gruppi tribali.
L’uomo passò da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore.
Apparentemente un progresso, in realtà Harari lo definisce una “trappola”: più cibo, ma meno varietà, più lavoro, più malattie, gerarchie sociali e disuguaglianze.
Nascono le prime città e stati, con religioni e sistemi di scrittura per amministrare società complesse.
Nel corso dei millenni, l’umanità tende all’unificazione.
Tre forze principali spinsero in questa direzione:
Denaro (mezzo universale di scambio).
Impero (espansione politica e militare che amalgama culture diverse).
Religioni universali (cristianesimo, islam, buddhismo).
Questi strumenti crearono reti globali di commercio, cultura e idee.
L’Europa avvia un’era di scoperte basata sulla ricerca empirica e sul riconoscere l’ignoranza.
Scienza e capitalismo si sostengono a vicenda: il credito, le banche e il colonialismo finanziarono esplorazioni e innovazioni.
Rivoluzione industriale, capitalismo, imperialismo e tecnologia plasmano il mondo moderno.
L’uomo si avvia a superare i limiti biologici: medicina, ingegneria genetica, intelligenza artificiale. Harari parla di un possibile passaggio dall’Homo sapiens all’Homo deus.
L’Homo sapiens domina non per forza fisica, ma per la capacità di credere e far credere in storie condivise.
Il “progresso” non sempre ha reso l’uomo più felice (esempio: agricoltura, industrializzazione).
Oggi l’umanità affronta scelte decisive: biotecnologie e IA potrebbero trasformare radicalmente cosa significa “essere umano”.