Comunicazione (dal Nuovo Dizionario di Psicologia di Umberto Galimberti)
Comunicazione (ingl. Communication; ted. Mitteilung; fr. Communication; sp. Comunicación). Nella sua accezione più ampia il termine è impiegato sul piano biologico, ecologico, etologico e umano per indicare quello scambio di messaggi che va dagli organismi unicellulari agli animali, alle macchine e all'uomo, le cui forme comunicative sono studiate, a seconda della forma, della funzione e della destinazione, dalla psicologia, dalla linguistica, dalla sociologia, dalla teoria dell'informazione e dalla cibernetica.
1. LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE. A unificare tutte le possibili forme di comunicazione sono tre fattori che Roman Jakobson individua nel «mittente che invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo un riferimento a un contesto (il "referente" secondo un'altra terminologia abbastanza ambigua) che possa essere afferrato dal destinatario, e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario (o, in altri termini, al codificatore e al decodificatore del messaggio); infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica tra il mittente e il destinatario che consenta loro di stabilire e mantenere la comunicazione» (1963, p. 185). Lo schema diJakobson è universalmente accettato; le differenze riguardano la semplificazione o l'arricchimento delle relazioni che il messaggio ha con il contesto, con il codice e con il contatto.
Il messaggio viaggia in un canale che sta tra il mittente e il destinatario o, in altra formulazione, tra il codificatore e il decodificatore. I segnali possono essere "discreti" o "continui", e la quantità di informazione che tramite loro può essere trasmessa esprime la "capacità del canale". Il canale può essere disturbato da distorsioni, perdite o interferenze da parte di altri segnali che vengono ricondotti a una sorgente di rumore che ha la possibilità di modificare il messaggio e rendere più problematica la decodificazione. La caratteristica principale del canale è la sua "capacità", misurata sulla velocità del flusso di informazione. Il problema dell'utilizzazione ottimale di un canale consiste nell'adeguare il codice al canale in modo da rendere ottimale la velocità di trasmissione consentendo un'informazione dall'attendibilità elevata, nonostante tutte le deformazioni dovute al rumore, e con una ridondanza ridotta in modo da non rallentare la velocità di trasmissione. La quota di informazione che viene ricevuta e decodificata in uscita (output) nello stesso senso e significato con cui era stata immessa in entrata (input) prende il nome di transinformazione i cui limiti sono costituiti dal rumore e dall'ampiezza del canale (v. INFORMAZIONE, TEORIA DELL').
2. LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE. Jakobson assegna alla comunicazione linguistica sei funzioni: referenziale che può essere a sua volta denotativa o cognitiva, espressiva che corrisponde a quella che Anton Marty chiama "emotiva", conativa, fàtica, metalinguistica e poetica, e a questo proposito scrive: «Ciascuno di questi sei fattori dà origine a una funzione linguistica diversa. Sebbene distinguiamo sei aspetti fondamentali del linguaggio, difficilmente potremmo trovare messaggi verbali che assolvano soltanto una funzione. La diversità dei messaggi non si fonda sul monopolio dell'una o dell'altra funzione, ma sul diverso ordine gerarchico fra di esse. La struttura verbale del linguaggio dipende prima di tutto dalla funzione predominante. Ma anche se l'atteggiamento verso il referente, l'orientamento rispetto al contesto (in breve la funzione cosiddetta referenziale "denotativa", "cognitiva") è la funzione prevalente di numerosi messaggi, la partecipazione accessoria delle altre funzioni a tali messaggi deve essere presa in considerazione da un linguista attento.
«La funzione detta "espressiva" o emotiva, che si concentra sul mittente, mira ad una espressione diretta dell'atteggiamento del soggetto riguardo a quello di cui parla. Essa tende a suscitare l'impressione di una emozione determinata, vera o finta che essa sia; per questo il termine "emotivo" proposto da Marty si è rivelato preferibile a "emozionale". Lo stato puramente emotivo, nella lingua, è rappresentato dalle interiezioni (l'interiezione non è un elemento della frase, ma l'equivalente di una frase).[. ..]
«L'orientamento verso il destinatario, cioè la funzione conativa, trova la sua espressione grammaticale più pura nel vocativo e nell'imperativo che, dal punto di vista sintattico, morfologico e spesso anche fonematico, si staccano dalle altre categorie nominali e verbali. Le frasi imperative presentano una differenza fondamentale rispetto alle frasi dichiarative; queste possono, quelle non possono subire una verifica della verità. [...]
«Vi sono messaggi che servono essenzialmente a stabilire, prolungare o interrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona ("Pronto, mi senti?"), ad attirare l'attenzione dell'interlocutore o ad assicurarsi della sua continuità ("Allora mi ascolti?"). Questa accentuazione del contatto (la funzione fàtica, secondo la terminologia di Malinowski) può dare luogo ad uno scambio sovrabbondante di formule stereotipate, a interi dialoghi il cui unico scopo è di prolungare la comunicazione. [...]
«Ogni volta che il mittente e/o il destinatario devono verificare se essi utilizzano lo stesso codice, il discorso è centrato sul codice: esso svolge una funzione metalinguistica, o di chiosa ("Non ti seguo", "cosa vuoi dire?"). [...] Ci siamo soffermati su tutti i fattori implicati nella comunicazione verbale, eccetto uno: il messaggio. La messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l'accento posto sul messaggio per se stesso, costituisce la funzione poetica del linguaggio. [...] Questa funzione, che mette in risalto l'evidenza dei segni, approfondisce la dicotomia fondamentale dei segni e degli oggetti. Quindi, trattando della funzione poetica, la linguistica non può limitarsi al campo della poesia» (ivi, pp. 186-190).
3. LA COMUNICAZIONE ANIMALE. La forma più elementare di comunicazione, ma anche la più universale, è la comunicazione animale, presa a modello dalla stessa cibernetica per mostrare la differenza tra la comprensione della comunicazione e la strumentazione con cui si attua. Scrive in proposito Mario Bunge: «La comunicazione è sempre tra animali, sebbene non sia sempre diretta. Per esempio, non comunichiamo con i calcolatori, ma per mezzo di loro. [...] Un segnale animale è un processo fisico eseguito e controllato da un animale, percepibile da altri animali e capace di alterare il loro comportamento; il messaggio portato da un segnale animale è una rappresentazione codificata di eventi del sistema nervoso centrale dell'individuo segnalante; il significato di un messaggio per un ricevente è il cambiamento nel suo sistema nervoso centrale causato dal segnale che porta il messaggio; un animale capisce un messaggio se gli eventi provocati nel suo sistema nervoso centrale dal segnale che lo provoca sono simili a quelli che sono avvenuti nell'animale che lo ha emesso; due animali comunicano se essi comprendono i messaggi dei segnali che si scambiano. [...] Benché la comunicazione possa avere un valore funzionale, non è necessariamente intenzionale. Per esempio i segni scambiati da insetti sociali, essendo programmati geneticamente, non sono intenzionali anche se sono funzionali» (1979, pp. 180-181).
La PSICOLOGIA ANIMALE (v.) definisce la comunicazione come la trasmissione di informazioni da un animale ali'altro tramite segnali che sono il prodotto di una specifica selezione naturale. La comunicazione si è evoluta sia al servizio della riproduzione sessuale: come i segnali relativi alle condizioni di recettività sessuale nelle femmine o i comportamenti di corteggiamento, sia al servizio della delimitazione del territorio: come la designazione dei distretti attraverso il canto degli uccelli canori o la deposizione di escrementi come nei gatti o nei cani. Oltre che nell'ambito della stessa specie esistono tipi di comunicazione fra specie differenti, in particolare tra predatore e preda, mentre nei primati che vivono in società si riscontrano forme di comunicazione attraverso espressioni facciali analoghe a quelle dell'uomo.
4. LA COMUNICAZIONE NON-VERBALE. Nello scambio comunicativo umano le componenti verbali e non-verbali sono costantemente interconnesse al punto che alcuni autori ritengono artificiosa la stessa distinzione. Tipici della comunicazione non-verbale sono: 1) i movimenti del corpo come i gesti, le espressioni del viso, gli atteggiamenti, lo sguardo; 2) i fenomeni paralinguali come il riso, lo sbadiglio, il pianto, i cambiamenti di tono, le pause e i silenzi; 3) le posizioni nello spazio come la distanza fra sé e gli altri; 4) la sensibilità tattile e olfattiva che si determina a distanza ravvicinata; 5) gli artefatti come l'abbigliamento, il trucco, gli ornamenti. Le modalità di comunicazione non-verbale sono determinate dai fattori culturali e variano in relazione alla situazione psicologica del soggetto e alla persona con cui questi entra in contatto. Dal momento che qualunque comportamento umano costituisce una comunicazione, nessuno può esimersi dall'essere un emittente, anche se nelle relazioni interpersonali intervengono meccanismi di filtro che controllano l'accesso delle informazioni, come quando, per la presenza prolungata di altri, si perde il controllo delle informazioni che si emettono e che si assimilano. Attraverso la comunicazione non-verbale avviene quella percezione degli altri e quella classificazione in relazione a un unplicita e personale teoria della personalità i
cui elementi derivano dalle precedenti esperienze di rapporto.
5. LA COMUNICAZIONE SOCIALE. Ogni comunicazione è un fatto sociale, sia che avvenga tra due o più individui sia che avvenga nel colloquio Interiore di un individuo con se stesso. La ragione è dovuta al fatto che come dice Charles Sanders Peirce, ogni segno è leggibile solo all'interno di un'esperienza comune o di un sistema basato su consuetudinis culturali comuni. Per questo Charles W. Morris prevede, oltre alla sintassi che studia i rapporti formali dei segni fra loro senza riferimento al contenuto significativo, e oltre alla semantica che si riferisce alla relazione dei segni con ciò che designano, una pragmatica che studia il rapporto dei segni con coloro che ne fanno uso in una determinata situazione. Questo rapporto presenta le fonne più svariate. Come dice Eric Buyssens, «ogni atto di comunicazione costituisce un rapporto sociale. Ciò lo si osserva in massimo grado nella lingua: ogni frase è assertiva, interrogativa, imperativa o ottativa: questo lo si marca nell'intonazione, nella scelta e nell'ordine delle parole. Si parla per informare il proprio ascoltatore, per chiedergli informazioni, per dargli un ordine, o per prenderlo come testimone di un desiderio» (1967, p. 17).
Su questa base John Lyons distingue la comunicazione caratterizzata dall'intenzione del mittente di rendere il ricevente consapevole di qualcosa, dall'informazione dove questa intenzione è assente mentre ciò che conta è il valore o il significato che il ricevente attribuisce al messaggio, per cui: «Vale la pena di osservare che il significato del mittente include la nozione di intenzione, mentre il significato del ricevente coinvolge la nozione di valore o significanza» (1977, p. 34). Alla base di entrambi, dell'intenzione del mittente e del conferimento di significato da parte del ricevente, c'è la nozione di scelta: «Da ciò dipende uno dei fondamentali principi della semantica: il principio della scelta, ossia la possibilità di selezione fra alternative. [...] Questo principio si esprime di frequente così: il significato o la significatività implica scelta» (ibid.).
Questo principio viene limitato da Jacques Derrida che insiste sulla frequenza dei messaggi impersonali nell'ambito della comunicazione sociale: o perché impersonale è l'emittente, o perché il messaggio è rivolto a una pluralità indeterminata di ascoltatori. Questa è la ragione per cui Derrida consiglia di non legare in modo troppo stretto la definizione del processo segnico con fatti o eventi psicologici come le intenzioni dell'emittente o le operazioni mentali dell'interprete. Questa posizione è condivisa da Nelson Goodman, Erving Goffman, Niklas Luhmann e Jürgen Habermas, per i quali lo studio delle società complesse deve basarsi, più che sulle relazioni sociali, sulla comunicazione. Di qui l'interesse per l'aspetto semantico della comunicazione, relativamente alla sua natura intenzionale o indifferenziata, alle varie forme di retroazione, cioè di risposta da parte del ricevente, alla natura manifesta o latente dei messaggi, sulla loro capacità di fornire informazioni a livello razionale, o di agire direttamente sull'immaginario collettivo attraverso la componente emotiva del messaggio e i fenomeni proiettivi.
6. LA COMUNICAZIONE DI MASSA. I mass media, prima che fenomeno ideologico, sociologico e culturale, sono un fatto di interesse semiotico, ossia produzione di segni e di comunicazione per cui è possibile, secondo Umberto Eco, una sociologia del!'emittente: come ad esempio il capitale monopolistico che determina i valori e i contenuti della pubblicità, i regimi e i gruppi sociali che si servono della radio e della televisione ecc.; una sociologia del ricevente, con analisi degli effetti dei mass media e le varie ricerche sul pubblico; una sociologia dei canali (i vari mass media) e soprattutto una sociologia dei messaggi per verificare, scrive Eco, «se quando l'uomo parla è libero di comunicare tutto quello che liberamente pensa, o è determinato dal codice. La stessa difficoltà di identificare i "nostri pensieri", se non in termini linguistici, lascia legittimamente sospettare che l'emittente del messaggio sia parlato dal codice. I meccanismi, gli automatismi del linguaggio spingerebbero il parlante a dire certe cose e non altre» (1968, p. 51).
Sull'onnipotenza del codice nella comunicazione dei media interviene Jean Baudrillard per il quale questo tipo di comunicazione rischia di divenire il modello di ogni forma di comunicazione, per cui, scrive Baudrillard: «Uno parla e l'altro no, uno sceglie il codice e l'altro ha l'unica possibilità di sottomettervisi o di astenersi. [...] Questa costruzione "scientifica" istituisce pertanto un "modello di simulazione" della comunicazione, dal quale sono esclusi immediatamente la reciprocità, l'antagonismo di chi vi prende parte e l'ambivalenza del loro scambio. [...] Ogni cosa è al suo posto: la formula possiede una coerenza formale che la garantisce come l'unico schema possibz1e nella comunicazione» (1972, pp. 193-194).
La posizione di Baudrillard è mitigata dalle considerazioni psicologiche relative alle predisposizioni del soggetto ricevente e ai processi selettivi di percezione e di memoria che ne risultano e che Joseph T. Klapper ha così elencato: a) l'esposizione selettiva per cui i soggetti recettori scelgono i mezzi di comunicazione cui sottoporsi, e quindi tendono a scegliere quelli che offrono un'informazione loro congeniale; b) l'autoselezione per cui i soggetti recettori, quando sono sottoposti a materiale non gradito, non lo percepiscono, o lo modellano in modo da adattarlo alle loro opinioni; c) la memorizzazione selettiva per cui i soggetti recettori tendono a ricordare l'aspetto che è loro congeniale, o la parte più gradita del contenuto di una comunicazione di massa. Questa mitigazione del "terrorismo del codice" denunciato da Baudrillard non scalfìsce il fatto che «ciò che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa - come ribadisce Baudrillard - è che impediscono ogni mediazione, cioè sono "intransitivi"» (ivi, p. 182), e soprattutto non intacca il modello di "linguaggio chiuso" di cui parla Herbert Marcuse che in proposito scrive: «Il controllo esercitato dai mass media avviene mediante la riduzione delle forme linguistiche e dei simboli usati per la riflessione, l'astrazione, lo sviluppo, la contraddizione, mediante la sostituzione di immagini a concetti. Esso nega o assorbe il significato trascendente; non cerca, ma stabilisce e impone verità e falsità. Questo tipo di discorso, tuttavia, non ha carattere terroristico. Non sembra lecito assumere che i destinatari credano, o siano portati a credere, ciò che vien detto loro. La nuova finezza del linguaggio magico-rituale è da vedersi nel fatto che le persone non vi credono o non se ne curano, eppure agiscono in conformità ad esso» (1964, p. 120).
7. GLI APPROCCI DELLA PSICOLOGIA AL PROBLEMA DELLA COMUNICAZIONE. In ambito psicologico la comunicazione viene letta a partire dai presupposti di base che caratterizzano i vari indirizzi, con un ordine di significati e di accentuazione fra loro spesso distanti.
a) L'approccio comportamentista legge la comunicazione come forma del comportamento di ogni organismo che costituisce uno stimolo per un altro organismo. Scrive Donald MacKay: «Un organismo che viva completamente isolato mantiene aggiornato il suo sistema di orientamento reagendo ai segnali fisici sullo stato dell'ambiente, ricevuti attraverso i suoi organi sensoriali. Questo aggiornamento adattivo dello stato dell'orientamento viene chiamato percezione. Possiamo considerare la comunicazione come una estensione di questo processo nella misura in cui parte del lavoro di organizzazione in un organismo viene svolta da un altro organismo. Normalmente ciò significa che l'organismo ricevente è indotto ad adattarsi in risposta ai segnali fisici ricevuti sotto forma di simboli, cioè di indicazioni ad orientare o meno l'attività, ben al di là di ciò che costituisce la loro percezione come eventi fisici. Il punto di partenza logico per una teoria semantica della comunicazione sembrerebbe perciò essere l'analisi delle funzioni organizzative, che sono in questo modo "estensibili" da un organismo all'altro» (1961, pp. 470-471).
Da questa impostazione generale deriva quella concezione della comunicazione linguistica come comportamento strumentale così puntualizzata da Edward Chace Tolman: «Che cosa rappresenta la lingua per chi ascolta? La risposta è: un complesso di segni. Il discorso, ali'ascolto, costituisce una serie di oggetti, presenti immediatamente, che l'ascoltatore prende come segni per successive stimolazioni ambientali. [. ..] Le parole udite sono gli oggetti-segni, e la stimolazione ambientale, che viene così sollecitata, è il significato, cioè l'oggetto significato. [...] In conclusione, per chi parla, il discorso costituisce in un certo senso un'amplifìcazione della portata delle braccia, delle mani, dell'apparato indicatore; per chi ascolta, un'amplificazione della recettività degli occhi, delle orecchie e degli altri apparati sensoriali» (1932, p. 126).
b) L'approccio psicosociale è il più interessato al problema della comunicazione perché, come dice Serge Moscovici, «l'oggetto centrale ed esclusivo della psicologia sociale dovrebbe essere tutto quello che si riferisce all'ideologia e alla comunicazione dal punto di vista della loro struttura, genesi e funzione» (1972, p. 56). La ragione è spiegata da Edward Sapir in questi termini: «Gli uomini non vivono soltanto nel mondo oggettivo, né solo nel mondo dell'attività sociale, inteso nella sua normale accezione, ma dipendono molto dalla particolare lingua che çostituisce il mezzo di espressione della loro società. È un'illusione credere che ci si possa adattare alla realtà senza l'ausilio della lingua, e che questa sia solo un mezzo incidentale per risolvere problemi specifici di espressione e di riflessione. La verità è che il "mondo reale" è, in gran parte, costituito inconsciamente sulla base delle abitudini linguistiche di un gruppo. [...] L'uomo vede, ascolta, e ha altre esperienze, nella larga misura in cui le fa, proprio perché abitudini linguistiche della sua comunità lo predispongono a certe scelte interpretative» (1929, pp. 57-58).
A fare della comunicazione il fondamento dello sviluppo psicologico dell'individuo è Salomon E. Asch per il quale «il fattore psicologico decisivo del problema dei rapporti dell'uomo con la società è la capacità dei singoli di comprendere e di reagire alle azioni e alle esperienze altrui. Questo fatto, che permette ai singoli di porsi in reciproco rapporto, diviene lo sfondo di ogni processo sociale e dei più decisivi cambiamenti che si verificano nella persona. Esso rende possibile l'introiezione nel singolo dei pensieri, delle emozioni e dei propositi degli altri, che estendono il suo mondo ben oltre ciò che un suo sforzo senza aiuto potrebbe raggiungere. Permette anche vasti rapporti di interdipendenza, condizione prima del suo sviluppo personale. [. ..] Viene cosi modificato l'ambiente psicologico di ognuno, perche vlvere in società significa mettere in efficace rapporto l'esperienza pubblica con quella privata. E ciò in modo irrevocabile, poiché una volta entrati nella societa, noi entriamo in un cerchio di relazioni che non si possono disfare» (1952, pp. 134-135).
Nell'ambito delle relazioni la psicologia sociale ha focalizzato il problema "comunicazione e influenzamento" che già Jean Piaget aveva segnalato là dove scrive: «Nella sfera sociale tra l'individuo in evoluzione e il suo ambiente immediato si determina una reciproca influenza, le cui diverse manifestazioni obbediscono, nella loro successione, a leggi precise» (1947, p. 187). Queste leggi sono le leggi dell'interazione a proposito della quale Asch scrive: «Il fatto di maggior importanza circa le interazioni umane è che esse sono avvenimenti rappresentati psicologicamente in ciascuno dei partecipanti. Nel nostro rapporto con un oggetto, la percezione, l'ideazione e il sentimento si trovano da una sola parte, mentre nei rapporti tra persone questi processi sono da ambo le parti e in rapporto di dipendenza gli uni con gli altri» (1952, p. 151).
c) L'approccio psicoanalitico. Essendo la psicoanalisi una cura attraverso la parola, la comunicazione ne costituisce in certo qual modo il centro. Ma si tratta di una comunicazione dove la dimensione soggettiva ed emozionale della relazione costituisce l'oggetto privilegiato di indagine, mentre resta sullo sfondo il problema dei contenuti e della struttura stessa del linguaggio. A questo proposito Cesare L. Musatti scrive che «mentre l'analista, nei suoi rapporti con il paziente, da un lato procede sul piano di comunicazione di tipo razionale, dall'altro intrattiene con lui un colloquio che si svolge invece fuori dallo schema della ragione [...] si giunge così ad una conclusione strana. Il colloquio tra paziente e analista, quando è effettivamente attuata la situazione analitica, è un colloquio delirante: un colloquio cioè che si tiene fuori dalla logica ordinaria» (1972, p. III).
Ma il maggior contributo in sede psicoanalitica al problema della comunicazione è stato offerto da Jacques Lacan per il quale: «L'inconscio, a partire da Freud, è una catena di significanti che da qualche parte (su un'altra scena, egli scrive) si ripete ed insiste per interferire nei tagli offertigli dal discorso effettivo e dalla cogitazione che informa» (1960, p. 801). E ancora: «L'inconscio è quella parte del discorso concreto, in quanto transindividuale, che viene meno alla disposizione del soggetto per ristabilire la continuità del suo discorso conscio» (ibid. ), per cui l'interpretazione «non si fonda assolutamente su un'assunzione degli archetipi divini, ma sul fatto che l'inconscio ha la struttura radicale del linguaggio, e che in esso un materiale si muove secondo leggi che sono quelle scoperte dallo studio delle lingue positive, cioè le lingue che sono o furono effettivamente parlate» (1961, p. 589).
Lacan ritiene che Sigmund Freud non ha potuto tradurre l'inconscio in termini di linguaggio perché «gli mancava lo strumento dello strutturalismo di Ferdinand de Saussure e di Roman Jakobson. Ma questo difetto della storia non fa che rendere anche più istruttivo il fatto che i meccanismi descritti da Freud come quelli del processo primario, in cui l'inconscio trova il suo regime, ricoprono esattamente quelle funzioni che tale scuola ritiene determinino i versanti più radicali degli effetti del linguaggio, e cioè la metafora e la metonimia, in altri termini gli effetti di sostituzione e di combinazione del significante nelle dimensioni rispettivamente sincronica e diacronica in cui appaiono nel discorso» (1960, pp. 801-802).
Portando alle estreme conseguenze le premesse di Lacan, Lucien Sève scrive: «Se si ammette che l'inconscio sia strutturato come una lingua, questo è senza dubbio un notevole passo avanti rispetto all'originario patrimonio concettuale freudiano, secondo cui l'inconscio doveva essere strutturato come un organismo biologico. Chi dice lingua dice anche rapporto sociale, e quest'ultimo dà molto di più ai concreti esseri umani. Ma allora perché rimanere a metà strada? Una volta riconosciuto che il problema dell'individuo non deve essere collegato all'istinto ma ad un rapporto sociale, perché astrarre il rapporto linguistico dall'insieme dei rapporti sociali?» (1969, p. 92).
Una lettura della psicoanalisi in termini di linguaggio e comunicazione è infine offerta da Alfred Lorenz per il quale: «Se consideriamo il procedimento conoscitivo come un'operazione terapeutica, la sua descrizione può essere così completata in modo convergente: l"'autentico" oggetto che sta dietro ai fenomeni linguistici è costituito dalle forme d'interazione extralinguistiche, cioè inconsce, ma queste ultime possono essere colte solo nell'esatto contesto della storia personale, e cioè in un modo concretamente sensibile, dopo che sono state riportate nella lingua. La comprensione scenica si completa solo nel momento in cui è essa stessa superflua: quando la scena è di nuovo completamente presente in forme simboliche d'interazione e il comportamento è ormai nuovamente accessibile alla comune comprensione» (1971, p. 42).
d) L'approccio sistemico è stato inaugurato da Gregory Bateson per il quale, siccome l'essere umano, per vivere, è obbligato a comunicare, ogni processo interattivo passa attraverso la comunicazione, pertanto, scrive Bateson: «La comunicazione non riguarda solo la trasmissione verbale esplicita e intenzionale dei messaggi. Nel senso in cui lo utilizziamo, il concetto di comunicazione dovrebbe comprendere tutti i processi attraverso i quali le persone si influenzano reciprocamente» (1951, p. 18; v. lNTERAZIONE, § 4). L'approccio sistemico utilizza modelli di tipo energetico e modelli di tipo relazionale con le relative categorie di funzione, relazione, retroazione, ridondanza e contesto, riferite al mondo della comunicazione ed elencate da Paul Watzlawick in questa sequenza assiomatica: «Non si può non comunicare. [...] Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione. [...] La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. [...] Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. La comunicazione analogica ha le sue radici in periodi molto più arcaici dell'evoluzione, e la sua validità è quindi molto più generale del modulo numerico della comunicazione verbale, relativamente recente e assai più astratto. [...] Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sua sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni. [...] Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza. [...] L'elemento che unifica questi assiomi, proposti in via sperimentale, non è la loro origine, ma la loro importanza pragmatica, che a sua volta si fonda non tanto su certe particolarità, quanto sulla possibilità di riferimenti interpersonali (anziché monadici) che offrono» (1967, pp. 46-63). La lettura dei processi di comunicazione secondo questi assiomi consente di "metacomunicare", cioè di riconoscere le regole del gioco interagito dai soggetti, a prescindere da ogni considerazione sull'intenzionalità o sulla consapevolezza dei comunicanti. E ciò in coerenza con quanto afferma Ray L. Birdwhistell: «Un individuo non comunica: partecipa a una comunicazione o diventa parte di essa. [...] In altre parole, un individuo non produce comunicazione, ma vi partecipa. Non si deve considerare la comunicazione, in quanto sistema, sulla base di un semplice modello di azione e reazione per quanto possa essere complesso e determinato. La comunicazione, in quanto sistema, va considerata a livello transazionale» (1959, p. 104; v. CIBERNETICA,§ 4).
e) L'approccio psicopatologico. I risultati più recenti in questo ambito sono quelli che hanno portato a teorizzare gli aspetti patologici intrinseci alla comunicazione o indotti dalla comunicazione. Classico è l'esempio di Bateson della "comunicazione paradossale" e del DOPPIO LEGAME (v.) dove una persona si trova di fronte a una comunicazione che include un paio di messaggi di diverso livello o tipo logico che sono in rapporto l'uno con l'altro ma senza coerenza tra loro, per cui si determina in chi li riceve uno stato di confusione di schemi di pensiero e di comportamento, perché, dato il contesto, non è possibile né obbedire né disubbidire al comando, e qualsiasi risposta porta all'autoperpetuarsi di alternative incompatibili tra loro e con il contesto. Questa situazione, dall'esito schizofrenico, può realizzarsi sia nei casi in cui i messaggi vengano scambiati tra due persone, come la madre e il figlio, sia fra tre, come il padre, la madre e il figlio. L'insicurezza che ne deriva produce un'incapacità all'autodeterminazione che non si produce solo in particolari situazioni familiari, come hanno accertato Bateson e Mara Selvini Palazzoli, ma strutturalmente a causa della relativa incapacità del linguaggio di rappresentare o anche esprimere la semantica e la prassi, molto più elaborate, della comunicazione analogica ed iconica. Là dove una scelta deve essere fatta tra alternative incompatibili, per l'insufficienza linguistica rispetto alla complessità della situazione reale, si ripropone la patologia del doppio messaggio che, a questo livello, non è indotta ma strutturale. In questo caso, per usare un'espressione di Karl Jaspers, è la comunicazione a toccare la sua "situazione-limite".
Bibliografia
Amietta P. L., Comunicare per apprendere. Dall'impresa-organizzazione all'impresa-comunicazione, Franco Angeli, Milano 1995.
Anolli L., Fondamenti di psicologia della comunicazione, il Mulino, Bologna 2006.
Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio. Studi sulla comunicazione non verbale (1965), Zanichelli, Bologna 1978.
Arielli E., Cognizione e comunicazione. Le basi psicologiche dell'interazione umana, il Mulino, Bologna 2006.
Asch S. E., Psicologia sociale (1952), SEI, Torino 1968.
Bara B. G., Pragmatica cognitiva. I processi mentali della comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
Bateson G., Verso un'ecologia della mente (1972), Adelphi, Milano 1976.
Bateson G., Ruesch J., La matrice sociale della psichiatria (1951), il Mulino, Bologna 1976.
Baudrillard J., Per una critica del!'economia politica del segno (1972), Mazzotta, Milano 1974.
Bellotto M., Comunicazione, in AA.VV., Gli strumenti del sapere contemporaneo, vol. Il: I concetti, Utet, Torino 1985, pp. 148-150.
Birdwhistell R. L., Contribution o/linguistic-kinesics. Studies to the understanding o/ schizophrenia, in A. Auerback (a cura di), Schizophrenia. An integrated approach, The Ronald Press Company, New York 1959.
-, Kinesics and context. Essays on body motion communication, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1970.
Borgna E., Parlarsi. La comunicazione perduta, Einaudi, Torino 2015.
Bresson F., Jodelet F., Mialaret G., Linguaggio, comunicazione e decisione, in P. Fraisse, J. Piaget (a cura di), Trattato di psicologia sperimentale (1963-1968), Einaudi, Torino 1972-1979, vol. VIII.
Bunge M., Treatise on basic philosophy, Reidel, Dordrecht 1979.
Buyssens E., La communication et l'articulation linguistique, Presses Universitaires, Bruxelles 1967.
Cavazza N., Comunicazione e persuasione, il Mulino, Bologna 1997.
DeagJ. M., Socia! behavior of animals, Amold, London 1980.
Dei B., Canone. Dimensione linguistica e progetto terapeutico, Cooperativa Editrice, Salerno 1986.
DerridaJ., Della grammatologia (1967), Jaca Book, Milano 1969.
Eco U., La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologica, Bompiani, Milano 1968.
_ Semiotica efilosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984.
Enzensberger H. M., Fondamenti per una teoria socialista dei mezzi di comunicazione di massa (1970), in Centro di Documentazione e di Studi sull'Informazione (CESDI),
Contro l'industria culturale. Materiali per una strategia socialista, Guaraldi, Rimini 1971.
Fomari F., Simbolo e codice, Feltrinelli, Milano 1976.
Frings H., La comunicazione animale (1966), Bollati Boringhieri, Torino 1971.
Goffman E., Modelli di interazione (1967-1969), il Mulino, Bologna 1971.
Goodman N., Fatti, ipotesi eprevisioni (1983), Laterza, Bari 1985.
Habermas J., Teoria dell'agire comunicativo (1981), il Mulino, Bologna 1986.
Hinde R. A. (a cura di), La comunicazione non verbale (1972), Laterza, Bari 1974.
Jakobson R., Saggi di linguistica generale (1963 ), Feltrinelli, Milano 1966.
Jaspers K., Filosofia (1932-1956), Libro I: Orientazione filosofica nel mondo, Libro Il: Chiarificazione dell'esistenza, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978.
Klapper J. T., The effects of mass communication, The Free Press, Glencoe 1960.
Lacan J., Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano (1960), in Scritti (1936-1966), Einaudi, Torino 1974, vol. Il
-, La direzione della cura e i principi del suo potere (1961), in Scritti, cit., voi. Il.
Livolsi M., Comunicazioni e cultura di massa, Hoepli, Milano 1969.
Lorenzer A., Crisi del linguaggio e psicanalisi (1971), Laterza, Bari 1975.
Luhmann N., Struttura della società e semantica (1980), Laterza, Bari 1983.
Lions J., Manuale di semantica (1977), Laterza, Bari 1980.
MacKay D., The informational analysis ofquestions and commands, in C. Cherry (a cura di), Information theory. Fourth London Symposium, Butterworth & Co., London 1961, pp. 469-476.
Mantovani G., Comunicazione e identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali, il Mulino, Bologna 1995.
Marcuse H., L'uomo a una dimensione (1964), Einaudi, Torino 1967.
Marsicano S., Comunicazione e disagio sociale, Franco Angeli, Milano 1987.
Marty A., Untersuchungen zur Grundlegung der allgemeinen Grammatik und Sprachphilosophie, Niemeyer, Halle 1908.
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare (1964), il Saggiatore, Milano 1999.
Morris Ch. W., Lineamenti di una teoria dei segni (1938), Paravia, Torino 1954.
Moscovici S., Society and theory in social psychology, in]. lsrael, H. Tajfel (a cura di), The context ofsocia! psychology, Academic Press, New York 1972.
Musatti C. L., Prefazione a M. Cesa-Bianchi et al., La percezione, Franco Angeli, Milano 1972.
Ogden Ch. K., Richards I. A., Il significato del significato. Studio dell'influsso del linguaggio sul pensiero e della scienza del simbolismo (1923), il Saggiatore, Milano 1966.
Parry J., Psicologia della comunicazione umana, Armando, Roma 1973.
Peirce Ch. S., Semiotica. Ifondamenti della semiotica cognitiva (testi tratti da Collected Papers 1931-1935, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, vol. V), Einaudi, Torino 1980.
Pemiola M., Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004.
Piaget J., Psicologia dell'intelligenza (1947), Editrice Universitaria, Firenze 1964.
Quintavalle G., La comunicazione intrapsichica. Saggio di semiotica psicoanalitica, Feltrinelli, Milano 1978.
Ricci Bitti P. E., Zani B., La comunicazione come processo sociale, il Mulino, Bologna 1996.
Rosenfeld H. A., Comunicazione e interpretazione. Fattori terapeutici e antiterapeutici nel trattamento psicoanalitico dei pazienti psicotici, borderline e nevrotici (1987), Bollati Boringhieri, Torino 1989.
Rumiati R., Lotto L. (a cura di), Introduzione alla psicologia della comunicazione, il Mulino, Bologna 2007.
Sapir E., Il linguaggio. Introduzione alla linguistica (1921), Einaudi, Torino 1969.
-, La posizione della linguistica come scienza (1929), in Id., Cultura, linguaggio e personalità (1949), Einaudi, Torino 1972.
Scheflen A. E., Il linguaggio del comportamento (1973), Astrolabio, Roma 1977.
Selvini Palazzoli M., Cirillo S., Selvini M., Sorrentino A. M., I giochi psicotici nella famiglia, Raffaello Cortina, Milano 1988.
Sève L., Marxismo e teoria della personalità (1969), Einaudi, Torino 1973.
Shannon C. E., Weaver W., Teoria matematica delle comunicazioni (1949), Etas Kompass, Milano 1971.
Tartara G., Teoria dei sistemi di comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 1986.
Tolman E. Ch., Il comportamento intenzionale negli animali e negli uomini (1932), Armando, Roma 1983.
Trupia P., Semantica della comunicazione. Produrre significati nel!'arte, nelle teorie scientifiche, nella formazione aziendale, Unicopli, Milano 1992.
Wachtel P. L., Comunicazione terapeutica (2001), il Mulino, Bologna 2006.
Watzlawick P. (a cura di), La realtà inventata. Contributi al costruttivismo (1981), Feltrinelli, Milano 1988.
Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana (1967), Astrolabio, Roma 1971.
Wilden A., Comunicazione, in AA.W., Enciclopedia, Einaudi, Torino 1978, vol. III, pp. 601-695.